lunedì 8 ottobre 2012

"E dimenticarsi di sè stessi no, questo davvero non lo si può fare"



 (…)
Nel minuscolo bagno le dita sembravano incastrarsi l'una nell'altra mentre tentava di risolvere la situazione...fare i calcoli di quanto e di come...piangendo dentro.
Delusione, dolore, panico...non voleva né svenire né morire. Non era pronta.
Quindi fece tutto quello che doveva fare, nonostante la confusione totale e la voce del capitano che annunciava l'imminente atterraggio; dosò l'insulina e addirittura riuscì a pensare a bilanciarla con un po' di zucchero per non rischiare che le cose precipitassero.
Tornò al suo posto, sentì venire meno la presa della Morte che aveva incontrato nel giardino.
Arrivò un sottile filo di luce.
Si ritrovò sola.
Non c'era più...lei. L'altra.
Eppure in qualche modo sarebbe sempre rimasta lì, alle Sue spalle, pronta a ricordarLe che...
Sospirò. Che ci restasse pure. Le poteva fare solo bene.
Paura, mortalità, debolezza: doveva imparare ad amarle.
(…)
(...)
Chiudendo gli occhi, poteva sentire -e quasi vedere- l'ingresso del giardino: un nodo di paura pulsante proprio sopra il Suo occhio destro, incastrato nella testa.
Lo guardava, si concentrava, entrava.
Lo coccolava, lo amava, gli chiedeva perdono.
Provava a renderlo parte di sé e, così, sciogliere i confini fra Lei e la vita.
(...)
(...)
Ogni giorno di più mi stupivo di me stessa.
Alternavo momenti in cui mi sarei controllata ogni cinque minuti ed altri in cui quasi riuscivo a non pensarci, mantenendo comunque la coscienza di quello che accadeva fuori e dentro di me.
A volte sentivo il cuore battere forte.
Ad agosto, quando mi rubarono lo zaino con tutto dentro, in un attimo di panico assoluto mi resi conto di quanto dipendessi dal glucometro che mi poteva sparare addosso tre numeri e dirmi come vivere, quanto correre, quanto mangiare.
Anche con questo dovevo fare pace.
Le parole delle dottoresse del reparto di diabetologia di Udine mi coccolavano; erano orgogliose dei miei progressi. Non mi ero fermata.

In fondo siamo tutti così: nè veramente indistruttibili nè burro caldo di fronte al coltello dell'esistenza.
Sarebbe bello cullarsi nel sogno di essere invincibili ma ecco che al primo raffreddore viene fuori tutto quello che avevamo cercato di dimenticare.
E dimenticarsi di sè stessi no, questo davvero non lo si può fare.
(...)

Eccovi un breve estratto dal libro “ Il Giardino” di Mariateresa Stella(http://www.dallacostaed.it/primopiano.html?task=view&id=11&catid=61&fb_source=message).
Ardua è stata l'impresa di dover scegliere solo alcuni spezzoni.
Racconto, autobiografico, reale e sincero, di cosa voglia dire svegliarsi una mattina e relazionarsi con una nuova vita, una nuova realtà, un nuovo compagno che ti sarà fedele sempre, fino alla fine.
Ho ritrovato me stessa in questo susseguirsi di parole;  l’ inadeguatezza,  la paura di un futuro (incerto?), ma allo stesso tempo la voglia di reagire, la voglia di riuscire ad andare avanti vivendo una vita piena di preoccupazioni, bustine di zucchero e succhi di frutta, ma pur sempre una VITA, la mia, la nostra.
“ VIVI se no non si sa di che parlare alla fine negli spogliatoi” (film Harold & Maude).
Questa è la nostra vita, a volte ne vorremmo un’altra, a volte non la cambieremmo per null’altro al mondo.
Questa è la nostra vita col diabete, piena di lotte, in cui quasi sempre ne usciamo vincintori.
Siamo Liberi, Belli, Ribelli.
Siamo noi con una marcia in più, con quella forza che solo queste continue battaglie hanno tirato fuori.
Siamo noi: giovani, un po’ folli e si, anche diabetici.
Diabetici che si organizzano e vivono la loro vita a pieno, diabetici che viaggiano, diabetici che lottano per realizzare i propri sogni… diabetici? No! Persone, singole entità che grazie anche a questa malattia hanno trovato (o stanno per) la grinta necessaria ad oltrepassare i limiti.
Non abbiate paura, l’unico nostro limite sarà sempre e solo il cielo!
Buona notte.
Ire

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